PIETRO MICHI

Qual è il tuo settore artistico? E scegli tre parole che descrivono il tuo lavoro.

Il settore artistico di cui mi sento parte può essere definito come quello musicale. Ho iniziato suonando pianoforte e batteria alle medie e poi tutto si è trasformato in una ricerca sul suono, grazie anche a mio padre che mi ha reso possibile capire cosa vuol dire lavorare con il suono fin da piccolo. L’ambito di riferimento è più quello dei suoni che quello della musica, con tutte le sfaccettature, adesso necessarie, del multimediale connesso a questo ambito, ad esempio molti lavori di grafica possono andare ad arricchire un contesto, un concetto, un qualcosa. Magari non sempre riesco ad essere l’artefice sia dell’idea che del prodotto perchè non ho tutte le conoscenze necessarie, soprattutto se si parla di multimedia a 360 gradi, spesso è qualcosa che si concretizza attraverso collaborazioni.
Il fulcro è quello del suono, che poi si dirama in: produzione musicale, registrazioni ambientali, sperimentazioni, in tutto questo esiste una lato tecnico, però diciamo che il metodo che preferisco seguire è quello di dare sempre prima un contesto. Su queste basi è nata l’etichetta Biodiversità: riuscire a contestualizzare e creare dei contenitori di qualcosa che in parte realizzo, in parte creo a livello concettuale o co-realizzo: mi piace anche molto collaborare e riuscire a riunire più forme artistiche all’interno dello stesso progetto.

Suono, natura, digitale

Quali sono le tematiche maggiormente affrontate nelle tue opere? E quali figure o movimenti artistico-culturali ispirano ciò che fai?

Le mie tematiche sono natura e digitale. Comunque parto sempre dalla natura: prima c’è il bios e poi il digitale. Anche come evoluzione del pensiero, si parte da un percorso biologico, che intrinsecamente hai vissuto: è da lì che inizia il tutto. Come anche nella danza: non puoi trascendere la natura dal concetto di danza, perchè in primis è un lavoro sul corpo. Di natura è fatto tutto ciò che mantiene il digitale e internet. La parola “meme”, spesso usata nel mondo di internet, è in relazione con un concetto evoluzionistico: un meme ha una sua evoluzione nella società e solo alcune forme ritoccate e migliorate arrivano a diventare virali, così avviene nella selezione genetica dove dei geni primordiali vengono condivisi e migliorati dalle ricombinazioni genetiche fino a diventare un prodotto virale.

Non ho particolari riferimenti, esistono cose che mi piacciono e questo può essere un presupposto per iniziare un’idea, un percorso. Ci sono molte cose che leggo e mi insegnano, ma fa tutto parte di un puzzle più grande. Non riesco a dirti chi mi ispira. Ci sono molte cose che mi interessano e che mi influenzano: non riesco a trovare qualcosa che stia al di sopra e a cui posso sempre affidarmi. Se vedo qualcosa che mi piace mi muovo da quella parte, arrivo, tocco e magari poi me ne vado. Ho una fascinazione facile e forte, ma faccio sì che questa non diventi un ossessione.

Con quali spazi del territorio fiorentino ti relazioni e qual è il rapporto che hai con altri artisti locali?

Non ho mai lavorato al di fuori delle case, non ho mai usufruito di studi, cosa che mi piacerebbe perchè dà un’idea più lavorativa, dà un contenitore per riuscire a svolgere una mansione con più professionalità.
Ho visto poche opportunità in generale a Firenze per trovare uno spazio di lavoro, o forse è solo il mio lato snob.
Per esibirmi non collaboro in maniera fissa con nessuno. Sono sempre un po’ un esterno nei contesti perché mi piace molto collaborare, ma anche restare solo. Ritorno poi sempre ad una solitudine artistica, per non avere un unico punto di riferimento: vengo, si fa qualcosa, poi vado via per ritrovarci in futuro. Sono sempre circondato da persone nel fare le cose, ma poi il posto fisso o il ruolo fisso non me lo assumo. A livello di collaborazioni con altre discipline artistiche per me non esistono barriere, l’importante è non fare sempre la stessa cosa.

Che strumenti o materiali utilizzi?

Ho i miei sintetizzatori che sono non convenzionali per come li monto io. Uso il modulare e per questo ne esce fuori sempre una struttura molto personale e anche, purtroppo, difficilmente utilizzabile con altre persone. Adesso una gran parte del lavoro è affidata al pc quando si parla di audio editing. Vorrei avvicinarmi anche alla programmazione, sto imparando. Mi piace perché riesco a vedervi la matematica della natura: è interessante usare anche quel tipo di approccio. In generale uso computer, sintetizzatori e registratori per registrare gli ambienti.

Qual è il tuo rapporto con il mezzo e lo spazio digitale? In che modo le tue opere ne sono influenzate?

Mi piacerebbe avere molte competenze in più per creare degli spazi digitali. Posso partecipare come terzo all’interno di uno spazio digitale complesso, mentre negli spazi meno complessi come i social network, siti etc. riesco a cavarmela, sono cose imprescindibili, o almeno non utilizzarli fa parte di una scelta politica.
E’ la normalità e ne faccio parte anche io, anche se molte cose non le capisco: l’utilizzo di IG per la mia persona non l’ho mai capito, non capisco perché devo mettere le mie foto su IG per far vedere al mondo che esisto. Dal punto di vista promozionale ci riesco, male, ma lo faccio. Poi gli spazi digitali in quarantena hanno avuto un’evoluzione, c’era un maggior utilizzo, ci sono stati più mezzi, e questa cosa mi ha interessato molto, è un processo che è stato spinto con l’acceleratore quest’anno.
Attualmente ho vari progetti installativi e grafici riguardanti spazi digitali.

In che modo la dimensione fisica e digitale interagiscono nella tua produzione artistica?

Partendo dal concetto che non si possono scindere digitale e natura: il digitale ha uno spazio fisico, non esiste niente di digitale che non abbia un luogo. Come il “cloud” che ti dà l’idea di essere fumoso e immateriale, in realtà ha un posto ben specifico in un server. Tutto il sistema digitale ha un impatto sul nostro mondo e sul discorso ecologico. Ormai forse sto impazzendo, quando vedo un un personaggio virtuale percepisco la sua esitenza, non penso di essere da ricovero però riesco a vedere la connessione tra questo e il nostro mondo. Anche nell’arte spesso mi piace cercare di unire le cose: per esempio ora sto lavorando ad una installazione che unisce in modo didascalico questi concetti, utilizzando del materiale digitale e inserendolo in un contesto reale.

Alias principali: FossaDelRumore e P I T