FRANCESCO PERISSI
Qual è il tuo settore artistico? E scegli tre parole che descrivono il tuo lavoro.
Nelle mie produzioni mi occupo sia di musica assoluta (quella che si ascolta) e di musica applicata (musica che è in funzione di qualcosa: installazioni, video, film..).
Ricerca, ascolto, immaginazione.
Quali sono le tematiche maggiormente affrontate nelle tue opere? E quali figure o movimenti artistico-culturali ispirano ciò che fai?
Faccio un po’ fatica a rispondere perchè è tutto molto caotico e sconnesso. La cosa interessante che ho accettato negli ultimi anni è di non appartenere per forza ad un canale con certe regole, lasciando invece il flusso di lavoro molto libero. Comunque posso dire di far appartenere le mie opere al genere avant pop : un incrocio tra musica popolare, pop, e l’avant garde che utilizza strumenti che fino a pochi anni fa erano di ricerca – tipo l’elettronica sperimentale. Il genere si caratterizza poi per l’utilizzo della forma canzone che esiste ma non esiste, priva della struttura strofa-ritornello. Quindi vuol dire prendere il mezzo vocale pop e distruggerlo, modificarlo. Per me è interessante perché incrocia il mondo della musica popolare e della ricerca settoriale estremista: quello che l’ascoltatore medio ascolta, con un approccio di istinto e meno razionale. E di base esemplifica il mio percorso da chitarrista nelle band metal a diplomato di conservatorio.
Con quali spazi del territorio fiorentino ti relazioni e qual è il rapporto che hai con altri artisti locali?
Di base mi sono rapportato con qualsiasi spazio: dalla casa occupata ai teatri, il club, i locali… non mi limito molto. Poi in realtà come tutte le cose ha i suoi pregi e i suoi difetti. Il difetto è che ogni tipo di lavoro ha un determinato spazio: le dinamiche sono molto diverse, di come si posiziona l’ascoltatore e di come si usufruisce della musica all’interno dello spazio e la qualità del suono. Ora sto cominciando di più a selezionare. Agli spazi più importanti è molto difficile arrivarci, perchè le dinamiche per arrivarci sono complesse. Ho suonato in molti più spazi importanti all’estero che in Italia.
Io ho lo studio a Prato, dove c’è questa associazione che si chiama Santa Valvola, che muove molto cose nel rock, indie, underground. Ho suonato spesso grazie a loro al Santa Valvola Fest, a Spazio Materia..
Nasco dalle band e sono abituato a lavorare con altre persone, ma è da tanti anni che non collaboro effettivamente con altri artisti per la creazione di un’opera. Con ciò non smetterò mai di andare a fare le jam, che mi ricordano sempre il motivo per cui suono. Purtroppo al giorno d’oggi il modo migliore per far musica è farsi lo studio in casa, che però preclude un sacco di incontri e collaborazioni.
Che strumenti o materiali utilizzi?
Ho la stessa pedaliera che ho comprato 15 anni fa e che risale agli anni 90.
La chitarra e i suoi pedali multi effetti. La pedaliera è ciò che modifica la chitarra e la fa diventare un sintetizzatore. La chitarra è una gestualità e il suono lo posso decidere a posteriori.
Poi c’è la parte di software e programmazione informatica (MaxMSP) che permette di creare sonorità più complesse e di usare gli algoritmi per creare suoni. Poi uso filtri sulla voce, che di solito sono hardware, anche effetti ma che sono armonizzatori, vari plug in…
Qual è il tuo rapporto con il mezzo e lo spazio digitale? In che modo le tue opere ne sono influenzate?
Con gli spazi social ho un rapporto fastidioso, li ho usati molto nell’ultimo anno per fare promozione del mio lavoro. Lo spazio del web ti permette di entrare in comunicazione con tutto il mondo, ma anche in competizione. Vedo che ci sono spazi bellissimi e funzionali, se li sai utilizzare. L’utente comune crede di saperlo utilizzare ma in realtà sono degli spazi molto complessi, ci sono delle regole all’interno che spesso non si conoscono. L’aspetto fondamentale è che io posso ricevere un feedback in questo spazio, cosa che è risultata particolarmente utile in periodo pandemico. Però allo stesso tempo in quanto artista tu sei molto più proiettato all’esterno di te stesso, all’apparenza, mentre se fai lavoro artistico dovresti proiettarti all’interno, dovresti stare sul pezzo di te stesso dalla mattina alla sera. In più i social lavorano molto anche sulla dipendenza, è molto difficile mantenere una linea di confine. Io nel mio piccolo ce l’ho fatta. Ormai esiste la tendenza anche da parte degli artisti a far entrare la telecamera anche nel loro studio mentre compongono, che per me è impensabile.
Il luogo fisico ti permette di rimanere a vedere uno spettacolo cosa che col digitale non succede, nell’online si reitera il giochino della noia, e se non trovo uno stimolo subito cambio. L’avanzamento dello spazio digitale ha modificato la mia produzione ma non l’ho cambiata per fare in modo di vendere di più: è semplicemente cambiata anche la mia modalità di fruire la musica, e quindi le mie aspettative sulla musica. Ho visto i miei rapporti diradarsi e diventare molto più difficili: non mi ritrovo nell’idea che il network è un elemento che unisce. Quello che succede nel reale è sempre quello che fa la differenza. I social devono essere un supporto ai contatti reali. Se sto raccontando qualcosa di complesso e che prevede uno scambio umano, il social non è sufficiente.
In che modo la dimensione fisica e digitale interagiscono nella tua produzione artistica?
Per quanto riguarda il rapporto tra il fisico e il digitale nelle mie opere, nonostante utilizzi molti strumenti digitali cerco di mantenere un approccio fisico grazie all’uso della chitarra e della voce per non essere totalmente digitale, perché altrimenti mi sembrerebbe che manca qualcosa per il mio percorso. Nasco come chitarrista e non potermi esprimere in maniera fisica mentre faccio musica sarebbe come bere una birra analcolica.
Alias principale: Francesco Perissi XO