GAIA ALTUCCI

Qual è il tuo settore artistico? E scegli tre parole che descrivono il tuo lavoro.

Mi inserisco nel settore dell’arte contemporanea portando la mia ricerca verso lo studio del corpo e del digitale, con un’interazione con l’altro dal vivo. Essendo che in questo momento questa opzione è più complessa, penso più a progetti formato video e installazione. Nella mia ricerca arte visiva, grafica e performativa si mescolano insieme: corpo, spazio, interazione.

Quali sono le tematiche maggiormente affrontate nelle tue opere? E quali figure o movimenti artistico-culturali ispirano ciò che fai?

Mi interrogo molto su temi che riguardano me, ma che non riguardano me in maniera individuale, piuttosto sono temi collettivi: il rapporto con l’altro, il rapporto con l’ambiente, la morte, anche temi più sociali. Utilizzo molto il mio operato per affrontare delle cose che difficilmente riesco ad affrontare in un altro modo. Se ho dei dubbi esistenziali sento la necessità di condividere questi dubbi con il contesto che mi circonda, cerco di affrontare questi temi esorcizzandoli trovando un canale che mi permetta di condividerli, dargli un’altra direzione. Pensando che chi fruisce di quell’artefatto possa anche lui trovare un canale che rielaborerà in maniera specifica. L’arte a me serve per risolvere delle cose, stimolare una riflessione e ricercare una complicità.
Sono ancora alla ricerca di contaminazioni, ho iniziato a contaminarmi a partire dalle esperienze che ho avuto con il teatro di ricerca sperimentale. Ho visto un nuovo modo di mescolare linguaggi diversi in qualcosa che rimane dal vivo. Il teatro di ricerca sperimentale è ciò che mi ha stimolato e ciò a cui tendo, però la mia ricerca è ancora molto in atto. Tutto questo è nato quando sono andata a vedere uno spettacolo dei Motus, che si rifanno al movimento del Living Theatre. Ci sono vari artisti, anche di arte visiva che mi ispirano molto, di base è come se fossi una spugna che prende stimoli da molte parti, sono in una fase di contaminazione e di ricerca di una contaminazione. Sono stata influenzata molto anche da Jodorowsky, dal suo approccio teatrale e figurativo molto forte, fatto di simbolismi, per me è una figura importante.

Con quali spazi del territorio fiorentino ti relazioni e qual è il rapporto che hai con altri artisti locali?

Sicuramente l’Associazione Artiglieria. Ho collaborato molto con Claudia Sicuranza, Tommaso Ferrara, con il quale abbiamo fatto dei corti e dei video. Poi è iniziata una collaborazione stretta con Niccolò Vannucchi, in un progetto che si è avvalso anche di altre collaborazioni. Ho lavorato con Interazioni Elementari, purtroppo non portando a termine nessun progetto insieme di fatto. Ho collaborato con James Vega e con Vittoria Becchetti, video artista con la quale stiamo portando avanti un progetto, poi Francesca Greci, Giulia Meoni e Alice Consigli.

Che strumenti o materiali utilizzi?

Utilizzo il corpo nelle sue varie possibilità. Poi il ferramenta è stato un luogo di profonda ispirazione per me: ho trovato dei mezzi che mi hanno portato ad elaborare alcuni progetti tipo i teli da imbianchino e le catene. E con “Mare di guai”, mio primo progetto di ricerca e di autoesplorazione personale su temi condivisibili, ho immaginato un format dove il mio corpo viene fotografato e rielaborando la foto graficamente andavo a costruire delle immagini che mescolassero sia il linguaggio del corpo, che linguaggi grafici, era tutto incentrato sulla comunicazione. Il progetto incarna quello che è stato il mio percorso di studi da designer e grafica a performer. Sono molto aperta a trovare nuove combinazioni, principalmente tra corpo-oggetti, video e rielaborazione digitale. Uso la macchina fotografica e software di vario tipo. La mia ricerca si incentra molto anche sulla luce e sul suono.

Qual è il tuo rapporto con il mezzo e lo spazio digitale? In che modo le tue opere ne sono influenzate?

Lo spazio digitale entra nel mio lavoro nel senso che c’è una curiosità, attenzione e volontà a fare una ricerca in questo mix tra corpo e linguaggi digitali, dando vita a dei prodotti che sono fruibili sul video e vivono nel digitale pur partendo dal fisico. Dal punto di vista della diffusione nello spazio digitale, al momento sono un po’ carente in questo, devo lavorarci di più su questo aspetto. Arriverà, man mano che avrò anche maggiore maturità artistica.
La mia produzione è molto recente, ho avuto un lungo tempo di incubazione. Posso dire che ho cominciato a produrre nel 2018 con “Mare di Guai” e già quello era un progetto fortemente influenzato dal digitale tramite la rielaborazione dell’immagine con Photoshop e programmi di grafica in generale.
Sicuramente molti progetti e collaborazioni sono nati grazie dal digitale: RGB è un progetto per far vivere gli spazi chiusi e farli vivere in uno spazio non fisico, nel momento in cui non si possono vivere i luoghi; chiamando artisti di vario genere a collaborare in delle azioni performative.

In che modo la dimensione fisica e digitale interagiscono nella tua produzione artistica?

Con “Mare di guai” c’è un rapporto diretto perchè si parte da un corpo nudo, spoglio, che viene fotografato e poi adornato attraverso una rielaborazione digitale.
Anche il montaggio video modifica la narrativa di un’azione scenica, di una performance. Il digitale cambia necessariamente lo spazio fisico.